18 ottobre 2020
il 16 ottobre 2020, 80 anni di Ivan Della Mea [Giampiero Bigazzi]
"...e comincia a cantare, con la sua “esse” assurda, che pare un chiodo strisciato su un vetro. Un difetto di pronuncia ben più disturbante di una erre moscia. Chi, nonostante quella “esse”, si ostina a cantare deve proprio avere delle cose urgenti da comunicare, che non può affidare a nessun altro". Alessio Lega "La nave dei folli".
Il 16 ottobre del 2020, Ivan Della Mea avrebbe avuto ottant’anni. Cantastorie, poeta, scrittore (anche di gialli), giornalista (per meglio dire editorialista, ché era il suo status più adatto, o fulminante corsivista), ricercatore di sentieri di cultura popolare e orale, fra i fondatori del Nuovo Canzoniere Italiano, per molti anni presidente dell’Istituto Ernesto de Martino, operatore - ma meglio agitatore - culturale, militante comunista (dove il termine ha una forte valenza libertaria). Almeno come l’ho cosciuto io persona decisa, radicale, perennemente in polemica con il mondo, ma anche buona, con senso dell’umorismo e con una certa dose di autoironia. Una persona divertente: tipologia apparentemente non ascrivibile a classiche categorie, ma per me decisiva.
Cantautore atipico, le sue canzoni fanno parte del patrimonio del canto sociale italiano, d’impegno si diceva una volta, ma capace anche di raccontare stati d’animo e storie di grande umanità, raramente legate alla cronaca del momento. Semmai orientato verso il periodo storico, la riflessione estesa e la capacità di intervenire sui pensieri e sui comportamenti (ascoltare, per esempio, la seconda parte di “Mangia el carbon e tira l’ultim fiaa”: “E’ l’ulivo e il sole”).
Cantante audace, diciamo così, sempre in bilico sull’intonazione e con una “esse” traballante (“chi se ne frega!”), ma capace di scrivere melodie molto interessanti e belle, ripercorrendo certamente modi popolari, ma con forti elementi di originalità melodica, costume non sempre usuale nel cantautorato pop. Le prime canzoni in dialetto milanese, “Io so che un giorno” (l’istituzione negata che si fa poesia), l’elegia dedicata a Gianni Bosio, “Piccolo uomo” scritta con Paolo Ciarchi, la lunga iterativa ballata “La nave dei folli”, per citarne solo alcune, sono opere che ancora raccontano l’umanità che non perde la memoria e cerca da sempre quello che qualcuno chiama il sogno di una cosa. E poi c’è quel piccolo capolavoro che è “O cara moglie”, il suo brano più conosciuto, magnifica sintesi di racconto privato e impegno sociale, cronaca e invettiva.
Ho conosciuto Ivan alla metà degli anni Settanta, incontrato in varie occasioni musicali e militanti. Lo invitai per un concerto a San Giovanni Valdarno, era accompagnato dal chitarrista Alberto Ciarchi (fratello di Paolo), era un’iniziativa autogestita e alla fine lo pagai meno di quanto si era pattuito. Promisi un bilanciamento che non c’è mai stato. Lui accettò consapevole di come sarebbe andata a finire. All’epoca succedeva. La cosa gliel’ho più volte ricordata, negli anni successivi, e ogni volta mi ha fulminato con qualche battuta delle sue.
Ho seguito sempre i suoi lavori discografici, andando a ricercare le realizzazioni degli anni Sessanta per mettermi in pari (all’epoca altri erano i miei punti di riferimento musicale), e ogni volta ho provato a ricucire la sua biografia (per certi versi e fino a un certo momento sorprendente), le sue “storie di casa”, mettendole insieme ai suoi percorsi politici. Tutti elementi di cui molte delle sue canzoni erano piene.
A un certo punto del mio giovanile girovagare nella sinistra ho intercettato Luciano Della Mea, il fratello, giornalista e scrittore. Quel cognome mi emozionava. Uscimmo da Lotta Continua insieme: vari incontri pisani, telefonate e scambio di lettere cariche di riflessione teorica e prospettive organizzative. Negli anni, dopo la scomparsa di Luciano, ho più volte promesso a Ivan che gli avrei consegnato quel breve ma curioso epistolario. Gliele avrei date solo l’ultima volta che l’ho visto.
Nel frattempo l’Istituto de Martino (il cuore del lavoro di ricerca e di documentazione dai Dischi del Sole al NCI alle edizioni Bella Ciao) fu costretto a trasferirsi a Sesto Fiorentino. Ivan Della Mea ne divenne presidente e per lui, toscano trascinato a Milano, era una specie di ritorno a casa.
Non ricordo come rientrammo in contatto. Forse semplicemente mi appassionava la presenza nella sede di Villa San Lorenzo al Prato di uno dei miei punti di riferimento. Lì ho conosciuto Franco Coggiola, ho rincontrato Cesare Bermani e Alessandro Portelli, Giovanna Marini, Gualtiero Bertelli, ho conosciuto Rudy Assuntino e soprattutto Stefano Arrighetti e Luciana Pieraccini e gli altri magnifici compagni e compagne dell’Istituto. E ho ritrovato Ivan. Abbiamo insieme discusso delle prospettive della musica registrata, di master da digitalizzare, di mercato e di rivoluzione. Abbiamo avuto un numero notevole di vecchi vinili dei Dischi del Sole che riproponemmo (anni Novanta) nel nostro catalogo per corrispondenza: fu un successo straordinario. Fu una sorpresa perché da quell’iniziativa emersero tanti appassionati, ancora molto interessati a quel repertorio.
Una volta mio fratello Arlo gli disse “Lo sai, Ivan, che ho imparato ha suonare la chitarra su ‘O cara Moglie’” e lui, sornione: “io ancora no”.
Alla fine di maggio del 2009 abbiamo organizzato a Montevarchi una serata con lui, Paolo Pietrangeli e Paolo Ciarchi. Ivan non era convintissimo di venire. Doveva andare a Brescia per l’anniversario della strage ed era affaticato. L’abbiamo convinto, promettendogli che dopo il concerto Francesca ed io l’avremmo riaccompagnato a Lucca, cioè a Torre Alta, alla casa dei Della Mea. E così fu. Durante il viaggio, nonostante la stanchezza, lo interrogai su tutti i punti per me ancora non conosciuti della sua storia e della sua attività. Arrivammo a Torre Alta e gli consegnai le lettere di Luciano. Il suo abbraccio a Francesca fu così intenso (forse premonitore) che lei se lo porta ancora come un caro indelebile ricordo. Per me fu la chiusura di un cerchio.
La sua arte però è ancora viva e degna di essere diffusa. Anche interpretata. Sono sicuro che qualche musicista di talento lo farà. Presto.
Giampiero Bigazzi